Agosto 22, 2023
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“Maximum in rebus humanis, non solum Inter gemmas, pretium habet adamas.”
Se già nel primo secolo d.c. Plinio il Vecchio (23-79 A.D.) nella sua Naturalis Historia descrive il diamante in modo così entusiastico una ragione deve pur esserci. Anzi, ce ne sono tante perché il diamante per le sue proprietà (in particolare trasparenza, durezza e rarità) è considerato non solo il re delle pietre preziose ma di tutti i minerali. E’ quanto di più duro in assoluto si possa trovare in natura.
I miti e le leggende provenienti dalla Grecia antica ritenevano i diamanti “schegge di stelle cadute sulla terra”, secondo altri erano “ le lacrime degli dei”. Adamas, invincibile. E tale dovette apparire ai primi che trovarono casualmente questi sassi luminosi sul greto d’un fiume o tra i detriti alluvionali provenienti, soprattutto per attività vulcanica, da profondità comprese tra i 130 e i 200 km sotto la superficie terrestre e dove si erano formati a temperature che di solito si aggirano sui 1.300° C con una pressione di circa 70.000 atmosfere. Se sono diversi questi parametri il diamante rischia di restare solo qualche cos’altro. Le condizioni ambientali sono decisive così come lo sono peraltro i tempi di formazione. Se il diamante non è esposto all’aria in tempi abbastanza stretti si trasforma lentamente, a 1.200°C, in grafite che è pur sempre carbonio ma, insomma, qualcosa di diverso. Ed è per questo motivo che l’ascesa verso la superficie deve avvenire molto velocemente in modo che il rapido raffreddamento e la riduzione della pressione non diano il tempo agli atomi di carbonio di cambiare disposizione e di conseguenza la loro attrazione gli uni con gli altri, che è fortissima nel diamante e debole nella grafite.
Quello che rende il diamante ciò che di più duro e resistente esista è proprio la coesione dei suoi atomi. A tutto ciò bisogna aggiungere la particolarità della materia all’interno della quale avviene la trasformazione del carbonio in quanto non tutti i terreni sono adatti alla sua formazione. Una serie numerosa di combinazioni e dettagli con un bassissimo grado di probabilità di incastrarsi le une negli altri lo rendono, tra le altre cose, così raro e speciale. C’è un dato che può darvi un’ idea molto chiara di quello che stiamo dicendo. Quando acquistiamo in una gioielleria un diamante di 0.10 ct (un decimo di carato), per ottenere quella piccola pietra sono state smosse, lavorate e trattate, mediamente (c’è differenza ovviamente tra una miniera e l’altra), 20 tonnellate di terreno. Ma anche una volta formatosi non è detto che finisca sul dito o al collo di qualche bella signora. La qualità tra un pietra e l’altra varia tantissimo: solo il 20% di tutti i diamanti diventa qualità gemma e finisce nella vetrina di una gioielleria, il restante 80% è destinato all’industria. La storia del diamante è antica, anche se non quanto quella dell’oro.
Non potremo mai conoscere esattamente il momento in cui si scoprì il primo diamante ma sappiamo per certo che fu in India, che rimase fino al 18° secolo, quando furono scoperti i giacimenti brasiliani del Minas Gerais, l’unico paese produttore. Al giorno d’oggi i maggiori centri di estrazione si trovano in Australia, Sud Africa, Botswana, Namibia e Unione Sovietica. Da fonti scritte si apprende che già nel 300 a.c. esisteva in oriente un fiorente commercio di diamanti e che per le transazioni commerciali di questo minerale prezioso venivano pagate delle tasse. Già a quei tempi i diamanti più ben formati e trasparenti avevano un particolare valore, e quelli con una perfetta forma ottaedrica appartenevano di diritto ai regnanti e non venivano esportati. Venivano estratti nei pressi della città di Golconda, odierna Hyderabad, una città così famosa per le gemme preziose che il suo nome per lungo tempo in occidente è stato sinonimo di ricchezza. Proprio in quel periodo le spedizioni in India di Alessandro Magno contribuirono non poco ad una sua maggiore diffusione in occidente.
Abbiamo già detto “Adamas”, invincibile, così lo chiamavano i greci per la sua durezza, e da questo deriva la nostra parola “diamante”. Esiste una particolare scala che determina la durezza dei minerali e che prende il nome dal suo ideatore, l’austriaco Friedrich Mohs (1773-1839), dove, in una successione di valori da uno a dieci, il dieci è ovviamente occupato dal diamante e, al secondo posto, con valore nove, troviamo il corindone (rubino e zaffiro per intenderci). Ma la differenza tra l’uno e l’altro non è di uno come potrebbe sembrare, perché il diamante è ben 140 volte più duro del corindone. La sua estrema durezza ne ha inoltre impedito per secoli il taglio e quindi la sua maggiore valorizzazione. Solo nel 15° secolo si scoprì che la durezza del diamante non è uguale in tutte le direzioni ma possiede quella che è definita “durezza direzionale” (o vettoriale), e significa che in alcune direzioni la durezza del materiale è leggermente inferiore rispetto alle altre.
Da qui in poi il diamante cominciò ad essere tagliato e questo dette naturalmente alla sua commercializzazione un ulteriore impulso. I primi tagli erano così semplici da essere a volte quasi indistinguibili dal grezzo, ma si fecero via via più complessi e con sempre più faccette che accrebbero ancor più la luce che fuoriusciva dalla gemma.
Cominciò così la lunga e affascinante storia del taglio del diamante, così interessante e vasta da meritare un capitolo a parte, sarà infatti argomento di uno dei nostri prossimi blog.
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